La moda della pittura barocca, in particolare a Venezia, aveva diffuso i volti di donne della storia, immagini originali di virtù e sensualità che talvolta erano riunite in stanze riservate, una specie di corte femminile da guardare e ricordare nell’esempio che veniva da lontano direttamente alle nostre emozioni: Didone, Cleopatra, Erminia, Giuditta, Fulvia, Porzia, Lucrezia, Sofonisba, Semiramide, o la guerriera Zenobia, giusto per fare qualche esempio.
In una sala preziosa di Venezia, a palazzo Barbaro di Santo Stefano, alcune tele sono incastonate nel soffitto dalla ricca decorazione in stucco. Sono opera, in chiusura del XVII secolo, di uno dei più rinomati pittori locali, Antonio Zanchi, che si dedica alle figure di Zenobia, al centro dello spazio, ad Ersilia, Clelia, Artemisia e, infine, a Ipsicratea, intorno. Soffermiamoci su questo soggetto, attraverso una contemporanea descrizione, che può far chiarezza anche sul nostro: “Ipsicratea sù bellicoso destriere appresso il marito Mitridate, conduttrice d’eserciti, che servendoli d’impedimento la folta selva delle sue chiome al grave peso dell’elmo, generosamente si taglia”.
Può capitare perciò di confondere le due donne in pittura, intente entrambe a tagliarsi i capelli. Come ancora succede, ad esempio, per un soggetto molto noto del genovese Bernardo Strozzi, artista pure di casa a Venezia. Il dipinto oggi in Texas (El Paso, El Paso Museum of Art), del 1640 circa, viene normalmente identificato con Berenice, ma si tratta invece di Ipsicrate, proprio perché vi è ben visibile il grande elmo che non le sarebbe entrato per via della folta chioma.
Il nostro cammino va naturalmente sulla figura di Berenice, che vediamo nel quadro mentre ha tagliato i capelli e intrecciati a fili di perle e diademi per deporli nel vassoio: in sé un vezzo aristocratico che allude alla dignità della donna e quasi tocco d’Oriente molto vicino alla sensibilità veneziana.
Berenice visse nel III secolo avanti Cristo ed era la figlia del re di Cirene, città dell’odierna Libia. Andò in sposa al re dell’Egitto, terra che, dopo la morte di Alessandro Magno, era governata dalla dinastia dei Tolomei. Il faraone, sposo di Berenice, dovette partire in guerra. Lei cercò di dissuadere il marito dall’impresa senza riuscirvi e, come una Penelope egiziana, si votò agli dei giurando che si sarebbe tagliata i capelli se avesse rivisto il suo “Tolomeo-Ulisse”.
La storia poi è ben nota: riavuto il marito, Berenice gli raccontò il senso del sacrificio. Ma Tolomeo non trovò all’altare i capelli della sposa, non avendo spiegazioni plausibili della sparizione. Finché Conone, l’astronomo di corte, in una notte di stelle risolse il mistero: “In verità i capelli della sua regina sono spariti dal tempio il giorno dopo che ella se li recise. Ma io so dove sono…”. Detto questo indicò il cielo. “A ovest di Bootes, sopra il Leone, vede quell’amabile luccichio? Eccoli, sono i capelli della sua signora. Gli dèi li hanno trasformati in stelle e da allora in cielo abbiamo una nuova costellazione: io l’ho chiamata Chioma di Berenice”.